Api carniche: L'allevamento di api regine di razza carnica e i nuclei artificiali

[caption id="attachment_41" align="alignleft" width="225"]nuclei di api carniche nuclei di api carniche durante una visita a inizio primavera[/caption]

 Api carniche: perché abbiamo deciso di allevare questa particolare razza, originaria della Carnia (Friuli), dell’Austria orientale e dei Balcani?

Nel vasto panorama apistico che ci troviamo oggi a dover affrontare, la responsabilità di ogni apicoltore, e in special modo di ogni allevatore di api regine, è quella di fare il possibile per mantenere più biodiversità possibile. Ricordiamo che l’Italia è uno dei paesi che ha sottoscritto nel 1992 a Rio la Convezione sulla diversità biologica. Questo implica direttamente la necessità di allevare razze autoctone del proprio territorio.

 

+ biodiversità = + variabilità genetica
+ variabilità genetica = + possibilità di aggirare qualsiasi futuro problema di allevamento (dovuto per esempio al comparire o alla recrudescenza delle patologie dell'alveare o al mutare delle condizioni ambientali)

 

 Nel 2003, quando abbiamo inziato l’attività di allevamento, ci siamo trovati di fronte ad un problema: la razza autoctona delle nostre montagne (presumendo che esistesse una razza autoctona...) era praticamente scomparsa: i vecchi apicoltori la descrivono come quella che sembra essere un’ecotipo dell’apis mellifera ligustica, un po’ più scura, aggressiva, mediocre produttrice di miele, sciamarola. Un ape selvatica su cui non era stata effettuata nessuna selezione da parte dell’uomo insomma.
L’importazione di razze da varie zone anche diverse climaticamente da quelle alpine ha portato alla formazione di ibridi più o meno adatti al territorio e di difficile se non impossibile gestione dal punto di vista della selezione; questo ci ha portato ad interrogarci sulla razza da sciegliere per l’allevamento.

 

I concetti di razza geografica e di allevamento in purezza (o in razza pura)

Possiamo definire con il termine razza un gruppo di individui che presentano un insieme di caratteri morfologici,  funzionali e fisiologici simili e trasmissibili ereditariamente. “La razza geografica ha una fisionomia abbastanza definita: un gruppo di individui della stessa specie che abita un certo territorio e che è geneticamente diverso da altri gruppi confinanti, geograficamente delimitati” (E. Carpana in “L’ape regina: allevamento e selezione” ediz. Avenue media 2004). Qui aggiungiamo che le barriere possono essere fisiche come montagne, mari, deserti o legate alla fecondazione: in quest’ultimo caso più razze d’api popolano lo stesso territorio ma  escono in fecondazione in orari diversi della giornata, rendendo possibile l’isolamento genetico.

Siamo convinti della necessità di allevare in purezza, cioè di fondare la selezione su individui apparteneti alla stessa razza geografica: in questo modo è possibile lavorare su materiale genetico che la natura stessa ci offre su un piatto d’argento come risultato di milioni di anni di selezione finalizzata alla sopravvivenza di una determinata razza in un determinato territorio. Apportando nuovo materiale genetico si rovinerebbe in poche generazioni quello che ha compiuto la selezione naturale.

Allevare in razza pura non vuol certo dire allevare tramite incesti: prendiamo ad esempio l’ape carnica: essendo originaria di un’ampia zona dell’Europa che parte dall’Austria orientale per arrivare fino ai Balcani possiamo ritrovarne vari ecotipi e centinaia di linee diverse, portatrici di caratteristiche leggermente diverse una dall’altra: questo ci permette di operare sugli accoppiamenti facendo ricorso periodicamente al “rinsanguamento” per evitare la consanguineità.

 

Api carniche: perché proprio l’apis mellifera carnica (api carniche)?

Perché la sua zona d’origine è molto vicina e climaticamente e morfologicamente molto simile alla nostra. Una delle  caratteristiche dell’ape carnica è quella di essere molto resistente agli inverni rigidi; sverna in un piccolo glomere consumando poche scorte;

Perché è presumibile sia morfometricamente molto simile all’ape autoctona che la natura aveva selezionato per questo territorio (era un ecotipo di ligustica, e come sappiamo ligustica e carnica sono le due specie geografiche di apis mellifera più simili tra loro, tanto che i caratteri morfometrici non sono molte volte sufficienti da soli per distinguerne gli ecotipi);

Perché l’esperienza degli apicoltori che in zone simili l’allevavano da molti anni ci induceva a provare;

Perché gli ottimi programmi di selezione effettuati negli ultimi 100 anni in Austria da personaggi come Ruttner hanno favorito una selezione attenta non solo alle produzioni (come è avvenuto nel secondo dopoguerra in Italia) ma attenta tra le altre cose al COMPORTAMENTO IGIENICO DELLE FAMIGLIE (che si traduce in una maggior resistenza alle malattie);

Ultima ma comunque importante considerazione, anche se non come i punti 1,2 e 4, le api carniche sono api conosciute per "tenere" ottimamente il favo (è cioè un’ape molto docile) favorendo così una miglior gestione delle operazioni di allevamento. Vogliamo aggiungere sinceramente che a differenza dell’ape autoctona (come abbiamo detto non per conoscenza diretta ma attraverso le informazioni che siamo riusciti a raccogliere) le api carniche offrono probabilmente una maggior produttività di miele e di conseguenza un maggior reddito.

 

Ma è veramente possibile che la ricchezza genetica di una razza d’ape vada irreparabilmente perduta?
L’apis mellifera mellifera (o ape nera) e il caso dell’isola di Laeso, in Danimarca.

Quest’ape è ritenuta senza dubbio l’ape autoctona della Danimarca. A seguito dell’importazione di altre razze d’api (carnica, ligustica e  l’ibrida buckfast) perché più produttive, alla fine degli anni ‘90 alcuni ricercatori danesi sono giunti alla conclusione che l’apis mellifera autoctona era ormai presente solo nell’isola di Laeso, un’isoletta che misura 20x10 km di superficie e conta 2300 abitanti circa.

A.B. Jensen e B.V. Pedersen, in una breve trattazione del problema apparsa in “La biodiversità in apicoltura: principi di genetica e conservazione—guida teorica per un’apicoltura sostenibile” (ediz. Avenue media 2006) delineavano come era stato intrapreso il tentativo di creare un areale di conservazione comprendente l’intera isola. Dispiace sapere che il tentativo intrapreso sia cozzato contro la testa dura di alcuni apicoltori locali, che per niente sensibili al problema si sono intestarditi a voler allevare razze diverse. Il governo danese, che in un primo tempo aveva intrapreso una politica molto rigida, ha poi ristretto l’area di protezione a una sola parte dell’isola, a seguito del contenzioso sollevato da alcuni apicoltori. Nel 2005 la questione sembrava sul punto di cadere pericolosamente nel dimenticatoio. Resta il fatto incoraggiante che sull’isola molti apicoltori sono ad oggi impegnati in un programma di selezione e miglioramento dell’ape nera in collaborazione con l’istituto nazionale di apicoltura danese.

Speriamo che questa esperienza, seppur si sia svolta così lontano da noi, ci serva come lezione per rafforzare l’associazionismo apistico e il rapporto associazioni-istituzioni-ricercatori. Ognuno deve essere consapevole che non può perseguire da solo l’obiettivo finale di conservazione e selezione di una razza, ma dovrà prima o poi sedersi intorno ad un tavolo e cercare un terreno d’intesa che possa portare almeno all’avvio di una comune strategia di lavoro.

 

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